Vangelo Lc 3,15-16.21-22
In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».
Gesù lascia la sua famiglia, la sua casa di Nazaret e comincia il suo ministero pubblico. Saranno tre anni intensi, tutti protesi all’evangelizzare, a cercare di cambiare quella cultura dell’integralismo ebraico che tendeva a dividere piuttosto che ad unire.
Ecco perché, mescolandosi con la massa, si lascia battezzare da Giovanni. La sua scelta non è fatta per mostrarsi, ma per fare notare che non intendere dividere l’umanità tra buoni e cattivi, ma vuole stare insieme con tutti.
Ecco perché comincia dai peccatori e non li lascerà più durante il suo ministero. Siamo per questo chiamati a domandarci come dover realizzare il nostro essere chiesa mettendoci in fila e stando in mezzo agli altri.
Dobbiamo abbandonare l’idea che siamo una realtà separata dal mondo e renderci conto che i veri lontani, quelli che abitualmente non frequentano gli ambienti delle nostre chiese sono tanti. Dobbiamo preoccuparci di andarli ad incontrare, di dialogare con loro, di coniugare con loro i verbi transitivi. Dobbiamo essere una “comunità transitiva”, che passa dalla chiesa alla strada, dalla strada agli ambienti di lavoro, dal lavoro ai luoghi di emarginazione, dall’emarginazione alla preoccupazione dell’educazione.
Diceva don Mazzolari: c’è una terra di missione, che incomincia appena fuori delle nostre chiese, divenute talvolta brevi isole sperdute nella piena inondante di una civiltà non più segnata in fronte dal nome di Cristo. La nuova cristianità non potrà sorgere senza la perdita di qualche posizione tranquilla o creduta tale. Lo stesso sforzo di difesa è destinato all’insuccesso se non è sorretto dallo sforzo di penetrazione. L’incredulità scavalca ogni riparo e ci porterà via coloro stessi che non avremo lanciato alla conquista del mondo moderno. Ci si difende assalendo. La missione, più che il segno della vita, è la vita stessa della religione: e l’ite della messa fa eco all’”andate e predicate a tutti” del Cristo.
Rivisitare il battesimo significa rivisitare il nostro essere chiesa ed essere una comunità allargata. Non una comunità dalle idee ristrette che persegua la logica apologetica, ma una comunità che proponga stando “in fila con gli altri” una progettualità di amore e pace per tutti.
Il Direttore
Don Antonio Ruccia