Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri – Domenica 2 Maggio 2010

Dal Vangelo secondo Giovanni

Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

Non è un testamento quello che Gesù ha rivolto ai suoi. Le parole contenute nei testamenti sono sdolcinate e portano con sè la dote per qualcuno. Le parole di Gesù, al contrario, sono un impegno. Un comandamento nuovo: di amarsi gli uni gli altri. Come si può amare qualcuno quando si è subìto un torto o quando addirittura si tratta di una uccisione di un proprio caro?
L’amore per gli altri non è un’esperienza di parole, ma un’espressione di vita. Non è una meta da conseguire, ma una strada da realizzare. Per amare gli altri non bisogna scrivere i testamenti, ma è necessario vivere con impegno gratuito la propria vita.
L’amore per i senza tetto, i senza lavoro, i senza futuro; l’amore per le mamme che non hanno più notizie dei loro figli o i figli che sono stati abbandonati dai loro genitori griderebbero vendetta. Gesù c’insegna ad amare tutti perchè chi ama le categorie dei “senza”, comincia a capire che litigare, inorgoglirsi, cercare la gloria sono sciocchezze.
Lui ha lavato i piedi anche a Giuda, perchè quelle parti impolverate che altri avrebbero evitato di baciare, sono uguali a quellli di tutti gli altri.
Quando nella nostra vita smetteremo di cercare i titoli e soprattutto di accumulare onorificenze e si sporgeremo anche noi sulle estremità dei tanti “giuda” della nostra vita capiremo che la diversità è complementarietà e la sinergia è servizio.
Dobbiamo costruire una “comunità senza testamenti”, una comunità che non lascia in eredità le bellezze architettoniche o le pitture da ammirare, ma case di accoglienza, famiglie pronte a dare ospitalità, luoghi di incontro e di promozione al lavoro soprattutto per i giovani e … alla fine … ricominciare da capo.

Il Direttore

don Antonio Ruccia

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