Sono convinta che la Chiesa sia fondata su un principio di corresponsabilità ove i laici, insieme ai sacerdoti, contribuiscono a comunicare a tutti la fede attraverso l’impegno nelle istituzioni civili, culturali, sociali e politiche.
L’impegnarsi, fare della propria vita una continua testimonianza di fede comporta sacrificio, ma è più appagante di qualsiasi azione o pensiero.
La scuola, il mondo del lavoro, le realtà associate hanno bisogno di un’anima e quest’anima non può essere solo quella del consacrato e del prete, ma di tutti i battezzati che si adoperano perché in ogni luogo il cristianesimo sia vivo.
Per quanto mi riguarda, dopo aver trascorso quasi vent’anni della mia vita nelle Vincenziane e prestato attività di catechista presso la mia vecchia Parrocchia di appartenenza, da circa 5 anni vivo una nuova esperienza parrocchiale, dove il cammino viene svolto in forma comunitaria. Insieme con altri e coordinati dal parroco abbiamo cercato di venire incontro alle esigenze del territorio attraverso l’ascolto di quella fascia di famiglie che sempre più vengono poste ai margini della società.
Oggi la soglia di povertà si è elevata a causa della crisi economica. E’ aumentato il numero di famiglie che, pur avendo un minimo stipendio in casa, non riescono ad arrivare a fine mese e, come avvocato, posso testimoniare che il numero degli sfratti per morosità è aumentato vertiginosamente negli ultimi anni.
Affrontiamo spesso il problema dei carcerati che, scontata la pena, non trovano fuori assolutamente nulla perché le istituzioni non si preoccupano del loro reinserimento sociale.Per non parlare di coloro che sono agli arresti domiciliari che devono sostenersi da soli, ma non possono lavorare perché non possono uscire e allora come fanno? Spesso accade che mantengono i contatti con la malavita per far fronte alle necessità quotidiane.
La tossicodipendenza, il gioco d’azzardo, l’usura sono problemi che la nostra parrocchia è continuamente chiamata ad affrontare. Tutto questo dimostra che il sacerdote, da solo, non può assolutamente far nulla a meno che non si crei una rete di laici che mettano a disposizione le proprie competenze e risorse per trovare una soluzione.
L’optimum sarebbe una collaborazione con i servizi sociali che, purtroppo, sembra latitare.
Da circa due anni accogliamo nella canonica della parrocchia famiglie giovani in difficoltà che rimangono con noi sino a quando non riescono a trovare una sistemazione più adeguata ed un lavoro decente. Tutta la comunità è chiamata a collaborare perché quello che cerchiamo di far comprendere è la necessità che ci si senta chiamati in prima persona e che le famiglie comunitarie prendano a cuore le sorti di famiglie che non ce la fanno.
LA CARITA’ NON E’ UN DONARE MA UN DONARSI.
La Caritas parrocchiale ha un compito di coordinamento.
Molti uomini della nostra parrocchia svolgono volontariato presso il dormitorio per i senza fissa dimora don Vito Diana a Bari.
Ad aprile dello scorso anno abbiamo appreso da Don Antonio che era sorta a Palese una casa di accoglienza per donne e bambini in difficoltà e che occorreva un po’ di tutto.
Così, con alcuni membri della comunità parrocchiale, abbiamo cominciato a frequentare questo luogo di accoglienza dove si respira amore grazie al lavoro instancabile di Suor Giovanna e Suor Noemi.
Le donne accolte con i loro bambini hanno storie tragiche di abbandono, di solitudine e di disperazione. In questo luogo si cerca di ridare loro una dignità, ricostruire quella parte di se stessi che gli eventi della vita hanno distrutto e per me è importante ridare speranza perché la disperazione è proprio mancanza di speranza.
Spesso porto con me mio figlio più piccolo di 10 anni perché, avendo ormai legato molto con i bambini ospitati è sempre desideroso di incontrarli. Questo è un aspetto importantissimo da affrontare. La nostra società benpensante cerca di evitare che i bambini affrontino così piccoli certi problemi così grandi. Penso, invece, che sia sano e salutare per i nostri figli sapere che non esistono solo le grandi case, le play station, i telefonini, i viaggi ecc., i vestiti firmati, ma che ci sono bambini che vivono in case di accoglienza perché non hanno nulla, che ci sono bambini a cui la società ha tolto il diritto di essere bambini.
La sensazione che io ho quando mi reco lì è una sensazione di libertà perché non vi sono sovrastrutture che ci separano, ma solo donne che si sentono legate da qualcosa di più grande, donne che, al di là del loro credo religioso,sono vicine le une alle altre perché figlie di uno stesso tempo.
Anna Cutrone
Parrocchia S. Maria Assunta – Palo del Colle