LA CHIESA DELLA VENTICINQUESIMA ORA – Domenica 5 giugno 2011

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 28,16-20)

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.

Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

La chiesa della venticinquesima ora

 

Gesù sul monte degli Ulivi saluta definitivamente gli undici apostoli prima di tornare al Padre. Gli apostoli hanno un atteggiamento contrastante: prima si prostrano dinanzi a Lui in segno di venerazione e di adorazione e successivamente rivelano le loro incertezze nei confronti del futuro che li aspetta.

La risposta di Gesù è invece il mandato che affida loro: andare nel mondo ad annunziare il Vangelo affinché per mezzo del battesimo tutti possano conseguire la salvezza. Inoltre gli rivela che non li lascerà mai e la sua presenza si rivelerà concretamente per mezzo dello Spirito.

Questo tempo è un tempo intermedio e non è definitivo. E’ il tempo della comunità ecclesiale che dev’essere impegnata a compiere ciò che Gesù ha detto ed attuato nel tempo della sua presenza terrena.

E’ questo il mandato affidato:

 

annunziare il Vangelo ;

battezzare tutti.

 

Le prospettive a cui siamo oggi chiamati è quello di mettersi in marcia e riproporre questo annuncio. La fragilità del nostro essere chiesa deriva da quella passività che per tanti aspetti ci mostra come più che annunziare oggi siamo nella fase dell’attesa miracolosa di qualche evento che possa scuotere l’agire della vita ecclesiale. Per tanti versi la semplice pastorale conservativa della sacramentalizzazione sganciata dall’annuncio mostra i tanti deficit dell’attuale situazione.

E’ il tempo della chiesa missionaria che cammina e ricerca tutti, che non si arrende anche quando le risposte non si rivelano corrisposte alle proposte fatte e che non finisce mai d’inventarsi mai qualcosa di nuovo affinché a tutti sia annunziato che Cristo è colui che ci salva dalle nostre debolezze.

I campi d’azione non possono restare nelle circoscritti e ben fortificati. E’ il tempo delle ore nuove. E’ la chiesa della venticinquesima ora che si pone accanto a tutti e che non denigra mai nessuno. E’ la chiesa dell’ora dopo che sa di non doversi fermare e che ama anche chi ancora oggi tende ad escluderla.

E’ la nostra ora: l’ora di chi sa che non si possono fermare gli aneliti della pace, della giustizia, dell’amore disinteressato e dell’impegno a favore della vita perché dietro ogni problema c’è un uomo da salvare.

 

Il direttore

 

Don Antonio Ruccia

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