Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 15,1-8)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
LA CHIESA CHE … PORTA (PIU’) FRUTTO
I versetti di questo brano evangelico non sono certamente annoverabili in un classico dei discorsi fatti da Gesù ai suoi discepoli. In essi c’è un’autentica strategia che ha come obiettivo quella di portare frutti abbondanti. Tale fine non è raggiungibile senza un itinerario che preveda tappe intermedie affinché non si debba mai ritenere il lavoro della quotidianità semplicemente una routine “pro forma” e senza futuro.
Eccone i momenti essenziali che evinciamo:
- Rimanere: non si tratta di uno stare nell’indifferenza, ma nel ricercare attraverso il discernimento tutti gli strumenti necessari perché i frutti siano ottimi. E’ il tempo della chiesa dell’incisività che non si limita a continuare con i soliti slogan le sue azioni evangelizzatrici, ma che studia, approfondisce e discute come, attraverso il confronto comunitario, è necessario che si ottenga l’obiettivo da raggiungere. E’ la chiesa che incide senza fare a meno della catechesi e che non limita i suoi fedeli al semplice ascolto. E’ la chiesa che non crede e non crederà mai nella passività dei suoi fedeli, ma che li vuole protagonisti e attivi evangelizzatori senza sentirsi globalizzati.
- Potare: non è il recidere quel qualcosa per far emergere una parte sull’altra. Dispiace vedere che ancora i traduttori rendono il termine con ‘potare’ che non è quello adoperato dall’evangelista. Il verbo adoperato da Giovanni è ‘purificare’, non ‘potare’. Sono due cose completamente diverse. Cosa significa
- purificare? Il Padre che ha a cuore che il tralcio porti più frutto sa individuare quegli elementi nocivi, quelle impurità, quei difetti che ci sono nel tralcio e lui provvede a eliminarli. Questo è importante, l’azione è del Padre; non deve essere il tralcio a centrarsi su sé stesso, ad individuare i propri difetti e cercare di eliminarli, perché centrandosi su sé stesso farà un danno irreversibile. E’ il cercare di portare frutti migliori. E’ il tempo della conversione ed è questo il secondo momento dell’itinerario. E’ il momento in cui si è certi che le opzioni sono necessarie e fondamentali. E’ la chiesa che crede nel futuro e se taglia, lo fa con una cognizione di causa: amare di più. E’la strategia della riconciliazione, del perdono, dell’oblatività. E’ la chiesa che crede nei giovani, che si spende con i ragazzi degli oratori, con la sua presenza nelle aule scolastiche e nei cortili più abbandonati. E’ la chiesa delle sollecitazioni e del dialogo aperto verso il mondo dei lontani. E’ la chiesa che apparentemente taglia una parte di sé ritenendola inutile, ma che in realtà progetta amore infinito.
- Essere discepoli: questa è vera novità! Non si può essere una chiesa qualunque, ma una comunità della vera evangelizzazione. Non è fatta dai missionari che passano un attimo e … poi lasciano un ricordo. E’ la comunità dei nuovi cristiani che camminano accanto a … tutti! E’ la comunità dei più! Non è quella delle sufficienze e delle ripetitività, ma quella di chi crede che il Vangelo debba raggiungere quanti oggi non lo conoscono più. E’la comunità che s’impegna nell’alfabetizzazione della fede e che sa amare anche quando sembra impossibile. E’ la chiesa che non si arrende anche quando qualcuno le indica la strategia “del quieto vivere”.
Nel campo di questa vigna non si miete una volta l’anno, ma ogni volta che i grappoli diventano frutti da donare. Tutto ciò nella certezza che il domani porterà, seguendo il medesimo itinerario, la garanzia di frutti migliori.
Il direttore
Don Antonio Ruccia