Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 10,27-30)
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
Con le orecchie, il cuore e le gambe
Ascolto e sequela sono ciò che è essenziale per diventare credenti in Gesù, per essere coinvolti nella sua vita, per far parte della sua comunità: solo attraverso un ascolto obbediente e una sequela perseverante si può avere con Gesù una comunione di vita profonda e duratura.
Sono tre le caratteristiche fondamentali del pastore che lo mettono in sintonia con il gregge. Sono tre gli elementi del corpo che possono determinare le prospettive di un cammino a cui tutta la comunità ecclesiale è chiamata per vivere un rapporto nuovo finalizzato a creare comunione e missione: orecchie, cuore e gambe.
La vita di ogni comunità entrando in relazione con il mondo e dovendo portare il suo annunzio di salvezza, di pace, di bontà e soprattutto per essere credibile deve anzitutto avere orecchie in grado di ascoltare la voce dell’amore che viene da lontano. E’ la voce che spinge a non percorrere le strade dell’evasione e a collaborare affinchè i risultati finali siano secondo il cammino indicato.
La vita di ogni comunità deve avere, inoltre, il cuore di chi cerca e ricerca anche le vie dei battiti del cuore. Non si tratta semplicemente di rumori e di movimenti meccanici che permettono di continuare a vivere per inerzia, ma di una forza sincronica e diacronica che faccia da motore a tutta la sua vita. Il cuore è il motore di una macchina, quello del pastore è il motore dell’amore che lo spinge ad offrirsi perché tutte le pecore si possano sentire parte attiva ed integrante di un gregge che insieme porta un messaggio di speranza anche a chi questa l’ha persa.
La vita di ogni comunità deve avere le gambe dell’instancabilità per portare la lieta notizia nei luoghi dimenticati. Sono quelli frequentati dai giovani nei lunghi sabato notturni, nelle solitudini dei luoghi dove degli ultimi sono semplicemente abbandonati, nelle case dove tutto sembra perfetto, ma regna il deserto dell’angoscia e della delusione.
Senza mettersi in ascolto, senza metterci il cuore e senza gambe robuste in grado di procedere non si realizza nessun tipo di evangelizzazione perché la comunità si regge sull’impegno a cercare e ricercare chi vive lontano dal gregge. E’ necessario che la chiesa si ponga in atteggiamento di ascolto, ci metta il cuore e non si rilassi nell’andare incontro agli altri.
Purtroppo oggi accade sempre di più nella chiesa che i credenti, le pecore, si sentono sempre di più organizzati in gregge, impegnati in svariati servizi, trattati come «militanti», ma soffrono in realtà di mancanza di rapporto e di comunicazione con il pastore. Ogni relazione autentica, invece, si nutre innanzitutto di presenza, poi di ascolto, comunicazione, amore, cura e dedizione, fino al dono della vita. Sono questi gli atteggiamenti con cui va vissuta la pastorale, se non si vuole che essa scada a mera burocrazia, a un impegno da funzionari.
E’ la chiesa della collaborazione, della concertazione, della vibrazione, dell’attenzione che segue il buon Pastore. E’ la chiesa del servizio in cui sia il pastore, sia le pecore hanno bisogno l’uno degli altri. E’ questa chiesa che diventa comunità quando ascolta i segni dei tempi, fa vibrare il cuore coinvolgendo gli altri e cammina verso i lontani.
La chiesa delle orecchie, del cuore e delle gambe è una comunità dell’instancabilità che non si chiude nei recinti, non ha la memoria corta e non si arrende quando il cammino è in salita. Non è fatta di pecorai e di mercenari: è una comunità dove il più stretto collaborare e uguale al più lontano che sta contemplando il cielo in attesa che qualcuno lo inviti a stare più vicino.
Il direttore
Don Antonio Ruccia