Dal Vangelo secondo Luca (Lc 9,18-24)
Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa; altri uno degli antichi profeti che è risorto».
Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio».
Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. «Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».
Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà».
La chiesa della vivacità
Il Cristo, con l’articolo determinativo, nella lingua greca, indica colui che è già conosciuto, colui che si sa. Quando Pietro risponde “tu sei Il Cristo di Dio”, cioè il figlio di Davide, quello atteso dalla tradizione; il re, il Messia che, con la violenza, doveva inaugurare il regno di Israele, non certo figura con quell’espressione.
Che Pietro non abbia risposto bene si vede dalla reazione di Gesù. “Ma lui lo sgridò severamente”. L’evangelista usa lo stesso verbo che si usa contro gli indemoniati per liberarli dalla loro ideologia fanatica. Quindi quello che Pietro ha detto, non è in linea con Gesù che lo ritiene come uno che è posseduto. Quindi ‘sgridò’ non soltanto loro, ma tutto il gruppo che condivide quello che ha detto Pietro.
Gesù è sì il Messia, ma in una maniera completamente nuova. Non andrà ad occupare il potere, non andrà a togliere la vita, ma a offrire la sua. E allora Gesù, con la pazienza che ha, rispiega: “«Il Figlio dell’Uomo…»”, Pietro ha detto che Gesù era il Cristo di Dio, Gesù invece parla del Figlio dell’uomo. Figlio dell’Uomo è colui che ha la condizione divina. Gesù è Figlio di Dio, perché rappresenta Dio nella sua condizione umana, ed è Figlio dell’Uomo perché rappresenta l’uomo nella sua condizione divina.
E’ bastata una piccola parola per indicare una strada nuova a Pietro e agli altri undici per camminare su strade impensabili o inaccessibili.
Una strada che richiama anche noi nelle scelte concrete che siamo chiamati a realizzare nell’oggi per seguire Gesù senza confonderlo con tanti altri e senza farne di lui un totem da esporre per convenienza e necessità.
Chi è il Cristo di Dio per noi che dopo duemila anni percorriamo le strade del mondo e cosa vuol dire andargli dietro, prendendo la croce ogni giorno per una vita da salvare?
Vuol dire non essere una chiesa della stanchezza, del malcontento, delle labbra imbavagliate, dei progetti scansionati dagli interessi e delle logiche perbenistiche. Vuol dire, invece, essere una chiesa della vivacità, interessata a … tutti. Quanti giovani bighellonano nelle strade e spesso finiscono nell’apatia. Quanti altri si aspettano di diventare importanti sgomitando e mercificando se stessi. Quanti altri ancora preferiscono strade corruttive e in franchising, cioè della delega e del dolce far nulla.
La chiesa della vivacità non nasconde le croci. Conosce bene la sua pesantezza e il suo fastidio quanto bisogna portarla dietro e per giunta sulle spalle, ma non conosce soste. Questa chiesa chiama per nome Gesù. Lo chiama amico, fratello, servo, ma lo chiama e non si nasconde. Questa chiesa non rimanda gli impegni ma conosce che ogni persona è sempre la prima e non sarà l’ultima a cui fargli conosce Gesù.
Ancora oggi ci sono persone che vivono senz’acqua e senza luce elettrica, ragazzi/e che defezionano la scuola, poveri che hanno perso la dignità e mamme che subiscono violenza pur di difendere i propri figli.
Questa chiesa della vivacità proprio nel nome di Gesù non li lascia perché vuole che nessuna resti inchiodato sulla croce. E’ una chiesa che non vuole prima calare dalla croce i cadaveri e in seguito seppellirli. E’ una chiesa che cammina per rafforzare l’amore e costruire nel nome di Gesù un pezzo di paradiso.
Non è la chiesa dei girotondi, ma la comunità che fa della diversità la sua identità d’amore. E’ tutta un’altra cosa !
Il direttore
Don Antonio Ruccia