La carità porta alla formazione cristiana e alla vita della comunità una dimensione imprescindibile nell’annuncio del Vangelo. Nel quarto capitolo dell’Evangelii Gaudium, intitolato “la dimensione sociale dell’evangelizzazione”, Papa Francesco afferma che “tutto quello che riguarda il sociale non è un optional facoltativo nello scopo dell’evangelizzazione, ma è una sua dimensione imprescindibile”. Quando parliamo di questioni riguardanti la politica, la pace e la povertà, per quanto possono essere temi più vicini alle sensibilità di alcuni gruppi pastorali, sono invece strettamente legati all’annuncio del Vangelo nel mondo contemporaneo e quindi alla missione fondante della Chiesa. Il Kerygma, ovvero il cuore del Vangelo (la morte e resurrezione di Gesù) ha un contenuto ineludibilmente sociale, quale la vita comunitaria e l’impegno con gli altri. La carità non sta a lato ma al centro del Vangelo, dunque non c’è evangelizzazione e catechesi senza la carità.
La prima reazione che abbiamo all’annuncio del Vangelo è che l’amore di Dio e di Cristo si esprime nel desiderio di portarlo agli altri e quindi di prendersi cura dell’ultimo, di volergli bene.
Il servizio della carità è costitutivo nella dimensione della chiesa ed è l’espressione della sua stessa essenza, perché se la chiesa non esercitasse la carità non ha più senso di esistere. Come la chiesa è missionaria per natura, così sgorga da tale natura la carità effettiva per il prossimo, la compassione che comprende, assiste e promuove. Questi tre verbi sono i pilastri degli operatori Caritas: la carità nella chiesa, dice sempre il Papa, non è “à la carte”, ovvero una serie di azioni tendenti a tranquillizzare la propria coscienza. La carità è la proposta, la ricerca e il lavoro per far avanzare il Regno di Dio nella storia: si occupa delle questioni più grandi che riguardano la società e quindi ci toglie da una dimensione intimistica della fede, che non è una questione tra noi e Dio ma riguarda tutte le persone, la vita in tutte le sue dimensioni (spirituale, psicologica, sociale, politica ed economica), perché tutto l’uomo deve essere salvato, non solo la sua anima. Ecco perché è importante la carità nella vita cristiana: la chiesa non può e non deve rimanere ai margini della lotta per la giustizia, ma deve essere sempre pronta assieme ai propri pastori a costruire un mondo più giusto. Spetta alle comunità cristiane analizzare obiettivamente la situazione del proprio paese, perché la chiesa non si occupa solo della spiritualità, ma tutto quello che succede al di fuori dalla chiesa entra dentro di essa: il Magistero e la dottrina sociale del Vangelo di Papa Francesco nascono all’interno di questo capitolo.
Dio sceglie di stare sempre dalla parte del povero perché ascolta il suo grido: è un fondamento bibliografico della nostra tradizione giudaico-cristiana. La parola solidarietà è spesso interpretata male, ma indica molto di più di qualsiasi atto sporadico di generosità: gli animatori Caritas devono avere una preoccupazione in più, perché il Santo Padre, nel sottocapitolo intitolato “l’inclusione sociale dei poveri” ci chiede una nuova mentalità, di ripensamento del sistema economico-sociale che permette l’interpretazione sbagliata della proprietà privata che non è assoluta ma è al “servizio” della comunità. Una solidarietà che si mette a tavolino e che ripensa alle questioni più urgenti, dalle cause strutturali della povertà fino allo sfruttamento degli esseri umani. I beni, anche quelli privati devono avere una destinazione universale e noi cristiani in primis dovremmo ricordarcelo, perché la dottrina sociale della chiesa non sposa né il liberismo e tanto meno il socialismo radicale. Dobbiamo affrontare queste questioni nei percorsi di catechesi e non solo, pensiamo alla novena del natale o ad approfondimenti su figure come Don Tonino Bello, persino nella pietà popolare è possibile far rientrare i temi della dottrina sociale della chiesa, proprio perché non sono un optional, ma fanno parte a pieno titolo dell’evangelizzazione.
Anche per i diritti dei popoli, soprattutto di quelli più poveri, abbiamo bisogno di una solidarietà che permetta ad essi di giungere con le proprie forze ad essere artefici del proprio destino e dunque di educare l’uomo al lavoro libero, creativo e solidale che attraverso il giusto salario permetta di accrescere la dignità e l’accesso adeguato agli altri beni che sono destinati all’uso comune evitando gli sprechi.
Se il Papa ancora una volta richiama questi temi è perché noi abbiamo diluito il messaggio cristiano, soprattutto perché abbiamo avuto una catechesi fin troppo dottrinale: non è importante però sapere la dottrina ma attivare un’ortoprassi, cioè non solo sapere le cose giuste, ma farle. Il Vangelo non è solo una filosofia da conoscere bene: è Gesù che muove in noi l’amore per il prossimo e quindi per il più povero. Il compito degli operatori Caritas è quello di far sì che il cuore della carità batta nella comunità. Non si può appaltare la carità, perché per la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica. I poveri ci evangelizzano perché ci chiamano ad avere gli stessi sentimenti di Gesù che si è fatto povero per arricchirci mediante la sua povertà (Benedetto XVI). Proprio per questo motivo il Papa nutre il desiderio di una chiesa “povera per i poveri”. Essi devono essere protagonisti attivi delle nostre comunità, facendoli sentire accolti come a casa, perché la chiesa cammina con i poveri e si preoccupa con loro. Qui rientra la grande sfida della creatività: non siamo credibili se nelle comunità i poveri sono tenuti ai margini, nessuno può sentirsi esonerato dalla preoccupazione per i poveri: il significato evangelico della povertà è richiesto a tutti.
Il senso del nostro incontro è quello di porci tante domande su come questa proposta di prenderci cura delle nuove fragilità possa essere tradotta in gesti concreti affinchè non diventiamo complici comodi e muti ma cristiani sensibili a vivere l’esperienza della carità sociale, perché l’iniziazione alla fede non sia solo ortodossia ma ortoprassi.